Ti è mai capitato, anche solo per un attimo, di sentire di non aver colto davvero l’attimo presente? Di non aver sfruttato pienamente l’opportunità che avevi davanti? È una sensazione sottile: non è dolore, né un crollo emotivo, né qualcosa di preciso che è andato storto… è solo un lieve senso di “che peccato”.
Nel mio articolo precedente “Ti sembra che tutto sia irreale, come se guardassi il mondo attraverso qualcosa?”, ho parlato della sensazione di irrealtà. Ma qui questa sensazione sembra avere un peso minore, anche se è comunque presente. Entrambe, però, derivano dallo stesso fenomeno: una disconnessione causata dal non vivere pienamente nel presente. Se prima il focus era sull’esperienza piena del momento, in questo testo voglio invece parlare di un altro aspetto: il pieno utilizzo del momento.
A volte possiamo cogliere quell’attimo in cui percepiamo di non essere davvero presenti. Lo notiamo, ma non sappiamo come fare a utilizzare meglio quel momento. Se ci riflettiamo, ci viene da pensare: “Mi sembra che avrei potuto fare qualcosa, ma non l’ho fatto. Ma cosa, esattamente?” È come se un velo invisibile nascondesse ciò che in quel momento era davvero possibile fare.
Alla radice di questa sensazione c’è il fatto che non abbiamo fatto ciò che, nel profondo, desideravamo fare. Ma spesso nemmeno ne siamo consapevoli. Come mai accade tutto questo?
Nel quotidiano accumuliamo tante piccole esperienze che ci fanno paura o ci creano ansia. Senza accorgercene, il nostro cervello cerca di proteggerci bloccando, distorcendo o razionalizzando queste esperienze per farci sentire che la vita procede “normalmente”. Ma così facendo, le nostre esigenze più autentiche vengono nascoste e la percezione del mondo si restringe. Non perché il mondo sia davvero più piccolo, ma perché il cervello, nel filtrare i rischi, filtra anche le opportunità. E i nostri desideri più profondi restano sepolti.
Per esempio, se non voglio che uno sconosciuto mi parli in metropolitana, il cervello potrebbe spingermi a rifugiarmi nel mio mondo interiore, riducendo le occasioni di interazione. Ma il vero racconto non è “non voglio parlare con gli sconosciuti”. È che temo di non essere accettato, di essere giudicato o frainteso. In realtà, il mio vero desiderio potrebbe essere proprio quello di connettermi con gli altri. Così, quella che chiamiamo “vita normale” è in realtà una versione della vita pesantemente filtrata dal nostro cervello.
Per questo, oltre a ricordarti di ascoltare regolarmente la tua voce interiore e provare a seguirla, potresti anche cercare una guida. Qualcuno che ti accompagni a vivere davvero—ogni esperienza, ogni parte, ogni istante. Questo ti permetterà di prendere consapevolezza delle parti della vita che il cervello ha nascosto, e di vedere con chiarezza le paure o le ansie che lo hanno fatto. Solo così potrai recuperare il tuo potere di scelta, e tornare a essere il sovrano della tua vita.
Un piccolo promemoria:
Se lungo il cammino ti senti bloccato o in un punto morto, valuta l’idea di affidarti a un coach professionista. Oppure a un insegnante di mindfulness, che ti aiuti a rivedere le parti di vita che il tuo cervello ha inconsciamente “filtrato”.
(Hai mai vissuto un momento del genere? Quando l’opportunità era lì, davanti a te… ma per esitazione, paura, o un’abitudine inconscia all’evitamento… alla fine l’hai lasciata andare?)